Atto di dolore, 3’24”, 2022
Mi è piaciuto molto. Era un bel po’ di tempo che l’atto performativo non era più cruento ma una cosa un po’ da operetta o estetizzante. Direi che rende perfettamente l’idea della sofferenza, dell’ossessione, del rischio e delle decisioni da prendere altrettanto rischiose, considerando poi il fatto che tutto ricade sul povero cittadino, in un modo o nell’altro, massacrato in tutti i modi. Il gesto ripetuto reitera l’angoscia dolorosa di una situazione in cui si viene gettati e cui si è costretti. Però, non so perché, ma c’è anche qualcosa di liberatorio e gridato, una testimonianza esibita in tutta la sua violenza.
Piero Deggiovanni, docente di Storia dell’Arte Contemporanea e di Storia e Teoria dei Nuovi Media all’Accademia di Belle Arti di Bologna
L’attenzione prima cade sulla cornice scelta, su una nudità che colpo dopo colpo scompare. Perché mentre questo rito spoglio di religiosità si porta avanti, sento dolore e anche paura. L’orecchio diventa attento al suono dello sterno colpito e ho paura, paura che si rompa. Mi chiedo come mai quella pietra, non capisco bene che pietra sia, sembra strappata da un pavimento veneziano ma pieno di angoli e asperità. Il ritmo sale e viene voglia di non guardare e non sentire. Viene voglia di andarsene via da quell’atto. L’atto di dolore mi interroga. Mi fa chiedere se sono responsabile di quel dolore e se devo procurarmelo per espiarlo. La mente cerca di analizzare e penso alla body art classica degli anni ’70. Mi distacco e scrivo. Lo faccio però per non stare lì. Alla fine rimane un cuore che pulsa. In centro al petto. Quel corpo vive.
Samuele Papiro, artista e fisioterapista
Indubbiamente la tua nuova opera mi ha colpito, mi ha creato un certo disagio, come alcune opere del periodo d’oro della body art. Non è niente di rivoluzionario, lo sappiamo che tutto e’ già stato detto, ma mi sembra coerente con il tuo percorso, e questo le dona solidità. Si, mi è piaciuta.
Nella sua semplicità’ ha molta forza. Atto di dolore… Non sono estraneo a tematiche masochistiche, ho cercato di parlarne nel mio primo corto tanti anni fa… Cosa rappresenta per te questo gesto ripetuto (ed e’ nella sua ossessiva ripetizione che trae forza l’opera) Una forma di espiazione? Anche non cristianamente intesa…. anche se di cultura cristiana siamo comunque permeati. Bello che si possa interpretare come semplice atto (gesto) che causa dolore. Perché viene alla luce ora? Vogliamo farci del male anche attraverso un’altra guerra da cui tutti (tranne pochi) usciranno perdenti?
Giovanni Andreotta, direttore dell fotografia
Forte, intenso, a tratti violento ma di una violenza che così reiterata per tutta la durata del lavoro, quasi diventa accettabile. Che si possa intravvedere in questi colpi auto inflitti qualcosa di quella stessa forzatura a cui ci siamo dovuti abituare in questi ultimi lunghi mesi? Trascina e angoscia invece, e in maniera crescente, il respiro che fa affannoso e accelerato. È molto potente quest’opera, e trovo sottilmente ironico che il suo titolo sia il nome di una preghiera, “Atto di dolore”. In fin dei conti, cosa può la stessa religione di fronte a tanta negatività?
Costanza Francesconi, aspirante giornalista
Mi ha tolto il respiro…mi ha fatto venire le lacrime. Non ho letteralmente respirato fino alla fine. Quel sasso smuove il dolore, lo disincrosta dal cuore per lasciarlo andare, per lasciarlo uscire con le lacrime. Questo è stato per me. Devastante e liberatorio allo stesso tempo..
Elena Baracchini, medico chirurgo specialista in terapia del dolore ed agopuntura
In piena notte ti esprimo le mie impressioni sul tuo video. Mi ha fatto stare male. Sembra Maddalena pentita. Ma mi chiedo la persona che faceva questo gesto di battersi il sasso sul petto dev’essere stata non solo coraggiosa . E tu anche. Ma stavolta non reggo a tale video. C’è troppo dolore in giro. Se il video vuole trasmettere un invito alla conversione, non mi sembra molto adatto… Almeno ti ho espresso, ma ciò non vuole non rispettare l’impegno che è stato fatto per realizzarlo. Davvero non riesco a guardarlo più.
Vera De Tina, artista
E’ molto forte, quasi non riuscivo a finire di guardarlo, ma volevo vedere a che punto avresti smesso… ricordo solo un’altra volta di aver provato qualcosa di simile, guardando la scena dello stupro nel film The Baby of Mâcon, di Peter Greenaway, prima ed unica volta in cui sono uscita dalla sala di un cinema. Comunque, è perfetto. Immagine, ritmo, tempo, suono, ha una fisicità penetrante.
Daniela Leonardi, traduttrice
Duro si ma un atto sincero che fa intravedere-apparire un cuore rosso d’amore, grande forza d’animo, cara amica Elisabetta, hai una forza ancestrale che non lascia indifferenti…. complimenti
Diana Ferrara, docente di Incisione all’ Accademia di Belle Arti di Venezia
Fa il suo effetto, ma non è originale e mi sembra troppo cattolico.
Perché punirsi fino a sanguinare?
Laura Gottlob, curatrice d’arte
La tua opera mi ha fatto pensare a un tempo lontano, quando nella cristianità le figure dei santi e dei martiri portavano nella storia religiosa i loro sacrifici e le loro passioni. Ma, nel tuo caso, più che una violenza nel proprio corpo, mi sembra che tu poni al centro un punto essenziale: LO STERNO o quel centro di energia cosi determinante per il tuo lavoro, al quale ci dobbiamo rivolgere ogni giorno, perché da quel punto si apre o si chiude il flusso che poi si irradia in tutto il corpo e che ci porta, tra le altre, alla creazione del processo artistico. Al momento lo vedo come atto di PASSIONE in risposta all’oscurantismo che ci circonda, un periodo di grande regressione dei paesi occidentali, la decadenza di un sistema che non ha più ragione di esistere. L’artista per me DEVE essere provocatorio, al momento deve far sentire il suo “grido di dolore” in qualsiasi forma o modo lo voglia rappresentare. Per cui sostengo la tua azione e il tuo coinvolgimento attuale.
Gabriella Cardazzo, studiosa, curatrice d’arte contemporanea, regista, documentarista e videomaker veneziana
E’ forte, diretta, priva di fronzoli, asciutta, efficace. E’ tipica del tuo fare artistico: viscerogeno e psicogeno allo stesso tempo. Un’opera ‘catartica’ nel senso più laico del termine.
Adriana Scalise, scrittrice a artista
Non avevo alcuna idea di che cosa si trattasse. E’ stato un pugno sullo stomaco! L’inquadratura così scarna, essenziale, due colori: nero e carne. Il gesto ripetuto con ritmo sempre più incalzante, mentre la pelle si colora di rosso. Non un lamento, non un suono esce dal corpo martoriato, non un gesto oltre la continuità costante e ossessiva della pietra che colpisce inesorabile la nudità inerte! E’ una Via Crucis dei giorni nostri, che riassume in sintesi il dolore, che si ripete ineluttabilmente ogni anno, in un periodo del sacrificio di Cristo sulla Croce. Il tuo è un dolore ancestrale che si prolunga nel tempo e non avrà mai fine.
Etta Lisa Basaldella, fotogiornalista
Credo di avere bisogno di un po’ di tempo per entrare in quello che hai portato alla luce. Personalmente per quello che provo in questo momento in funzione del mondo com’è adesso, ho bisogno di trovare una via di uscita. Il tuo lavoro mi ha sconvolta ma in questo momento io mi sento altrove rispetto a una situazione del genere e ho bisogno sia come artista che come persona di darmi delle vie di uscita. Non che ci siano, però ho bisogno di domande e non ce la faccio a sentire addosso tutto questo dolore. E’ chiaro che il tuo lavoro a me piace tutto però, per esempio mentre in alcune opere tu riesci a tirare fuori da questo dolore comunque sempre un respiro, questo per me è troppo. Ultimamente, come faceva Monet durante la guerra dipingeva ninfee, io mi sto studiando le stelle. Stare lontano da un certo tipo di corpo è un modo di difendermi dal dolore stesso. Per me che sono dentro un’altra bolla di pensiero, il fatto che comunque in passato io abbia messo dentro alle mie opere questa forte componente del dolore sia fisico che mentale psicologico, è un po’ come dire, dato che in qualche modo l’opera mi ha aiutato a uscire da quella condizione, ora sento la necessità di fare di questra guarigione, una fioritura. Io ho bisogno proprio di stare dentro la fioritura continua perchè c’è troppo dolore intorno.
Ilaria Margutti, artista