OPERA

2020, Full HD, 7’28”, in loop, audio


Due donne. Stesso gesto, stessi strumenti, ambiti diversi. Il filo cuce unendo quella sutura che intrecciato si fa ricamo sulla tela. L’atto del cucire come simbolo di un’operosità fatta di abilità, di costanza, di cura.

la medicina è una scienza dove non c’è niente di “scientifico”
ma è sempre diverso, sempre personale, sempre una scoperta
che va elaborata, va ricercata, va pensata.
Puoi avvicinarti ad una soluzione, ad un’opera finita che può anche

non essere mai finita.
Prepari il campo, pulisci, disinfetti, sistemi i ferri, scegli quelli
che vanno bene, poi a seconda di quello che devi fare, cominci.
Cominci a tagliare, piuttosto che a cucire, piuttosto che a sostituire.
La sutura finale dipende da quello che è stato l’intervento.
Se è stata una cosa semplice, se è stata una cosa complicata,
se è stata una cosa inaspettata, se è stata una cosa che già si sapeva,
dipende da come è finita, da quanto siamo riusciti ad “aggiustare”
quello che non andava.
Ma la tua sutura se è un intervento chirurgico, dipende dal primo gesto
che tu hai fatto all’inizio e quindi  dal primo taglio.
Se quello è stato fatto bene, la sutura finale sarà fatta bene.
Naturalmente conterà come cuci, il filo che usi, quanto stanco sei,
ma l’ultimo gesto dipende sempre dal gesto con cui tu hai cominciato.
La pelle è una parte della persona che sto curando,
è l’involucro che  trattiene tutto quello che fisicamente è.
E’ anche qualcosa di vivo e di indipendente perché la pelle
ha una determinata direzione in cui tu sai come devi tagliare
per rispettare la sua costituzione.
Quindi prima di ogni gesto va studiata, perchè ti racconta
tutta una serie di cose a cui tu devi tener conto
per fare un buon lavoro quindi una bella opera.
Le parole come la trama, l’intreccio, il racconto, la memoria, l’incidere,
l’andare oltre, l’affondare, l’esplorare le ritrovo tutte in quello che faccio.
Ed è anche un violare perché tu apri la continuità della cute,

quello che tiene tutto assieme, ed entri dentro a qualcuno a ricercare
quello che diventa in quel momento l’oggetto della tua attenzione.
Per cui ci deve essere sempre un profondo rispetto

Elena Baracchini, dottoressa

Il ricamo è una metamorfosi.
Un gesto di vastità che si realizza nello stare immobile.
È il silenzio che mi parla con parole antiche,
è prendermi cura del pensiero.
È il rito che dà ritmo al respiro.
Silenzio, pensiero, indecisione, cancellazione,

camminare, cogliere, ascoltare, attendere, disegnare,
scrivere, preparare la tela il filo e il telaio, respirare.
Sedermi.
La trama, l’intreccio, la sutura, il racconto, la memoria,
l’andare oltre, l’incidere, l’affondare, l’esplorare,
sono tutte parole connesse al tessere o al ricamare.
All’inizio usavo il filo per rammendare,
forse la mia anima un pò sbastita,
ora il filo mi ha trasformata, mi ha permesso di entrare
in un mondo molto più vasto del rammendo, della sutura
o del prendermi cura di ciò che si è strappato.
Oggi il filo è anche parola, è codice e svelamento.
Il tessuto è il nostro primo vero involucro protettivo, nato dal pensiero,
per questo lo sentiamo come una seconda pelle,
per questo ne è la sua metafora, ed altrettanto io l’ho voluto rammendare
come fosse la mia epidermide permettendo al mio corpo
di superare i propri confini.
Quando ricamo sento di entrare dentro a un cosmo
che si sviluppa nel suo agire, un fluire continuo
senza interruzioni e senza ricomposizioni.
Un parlare.
Ho tra le mani una mappa senza nomi, né luoghi, né direzioni,
ma per me è la mappa del tesoro più importante
che mai avrei sperato di trovare così, in questo viaggio.

­ Ilaria Margutti, artista

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